PERCORSO CULTURALE

CONEGLIANO – VALDOBBIADENE

SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

Da Colbertaldo di Vidor sulla strada per San Giovanni e Valdobbiadene a sinistra dalla via Grazie si arriva al Santuario della Madonna delle Grazie, circondato dalle colline. Si narra che intorno al 1346-1353 alcuni frati, per sfuggire dal contagio della peste nera, si ritirarono tra questi colli per l’aria buona e per mettersi sotto la protezione di Maria la cui immagine, forse quella dell’affresco attuale, era venerata in un capitello. Sia i frati che la gente del luogo non furono contagiati dal terribile male.

VALDOBBIADENE

Valdobbiadene ai piedi di montagne boscose, adagiata su colline ricoperte da vigneti deve il suo nome a Duplavilis (forse due ramificazioni del Piave-Plavis). Il primo documento in cui si accenna a Valdobbiadene anche come comunità religiosa organizzata, risale al 1116 quando l’Imperatore di Germania Enrico V, a tutela dei signorotti di Duplavilis che gli chiedevano aiuto delimitò i confini del territorio appartenente di diritto ai Duplavinenses. Nei secoli successivi dopo le lotte feudali, Valdobbiadene passò sotto la dominazione di Venezia; caduta la Serenissima nel 1797, con il trattato di Campoformio, Valdobbiadene con il Veneto fu ceduta da Napoleone agli Austriaci. Con l’annessione al Regno d’Italia la borghesia dei mercanti, notai e proprietari terrieri valdobbiadenesi che aveva acquisito le terre dei nobili veneziani, costruì palazzi e ville che ancora oggi si possono ammirare: Villa Piva, detta dei Cedri dove ogni autunno si festeggia con le bollicine del Prosecco, Villa Barberina Arten Viansson, Villa Barbon Bennicelli, in frazione San Vito.

Durante la I guerra mondiale l’attuale sede del Municipio fu occupata dal Comando austriaco e il territorio fu bersaglio di pesanti bombardamenti. Con la ricostruzione alla fine della II guerra mondiale, si è sviluppata la coltivazione delle viti, che coniugando il lavoro dei viticoltori al sapere della scuola enologica “G.B. Cerletti” di Conegliano, ha determinato il successo del Prosecco di Valdobbiadene. Nella piazza di Valdobbiadene si può ammirare il Duomo che, iniziato nel 1798 e consacrato nel1816, presenta atrio a pronao con colonne di ordine dorico in stile neoclassico, in armonia con la torre costruita nel 1767. All’interno si nota un grandioso altare barocco in marmo di Carrara con intarsi di marmo africano verde antico; notevoli sono la pala della Vergine Assunta in cielo di Francesco da Conegliano detto il Beccaruzzi e quella dei Santi Rocco e Sebastiano con la Vergine e un Angioletto opera del pittore Paris Bordon del XVI sec. Sopra il portale d’ingresso, all’interno, è l’opera di Ridolfi (XVI sec.) che rappresenta la disputa di Gesù fra i dottori del tempio.

Nel 1540 fu arciprete del Duomo il letterato Pietro Bembo, letterato umanista creatore della lingua italiana che parliamo ancora oggi, nominato Cardinale e consacrato sacerdote nel 1539 all’età di 69 anni. Lungo la strada per Fener si trova la chiesa di S. Gregorio il Grande, Papa benedettino morto nel 604. La chiesa fu forse voluta dai Benedettini dell’Abbazia di S. Bona (Vidor) che avevano dei terreni. La prima chiesa, piccolissima, dei primi del 1200 è superstite nella cappella laterale verso est; caduta in abbandono fu poi ricostruita nei primi del 1600 e fino al 1769 ospitò i Cappuccini.

Domina la piazza di Valdobbiadene la chiesa di S. Floriano, citata per la prima volta in un testamento del 1424, nel 1724 fu completamente rifatta e completata con il campanile-faro. Dopo i bombardamenti bellici degli anni 1917-18 venne ricostruita, ampliata e vi fu costruito il piazzale antistante dal quale si può ammirare il panorama di Valdobbiadene. Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne aggiunta la cappella ad ovest per tener fede ad un voto.

Proseguendo per la strada per Vittorio Veneto si arriva alla frazione di San Pietro di Barbozza che, caratterizzata da piccole borgate chiuse attorno a cortili, si adagia in mezzo a boschi di castagni che si alternano a prati soleggiati e a valli scoscese.

Percorrendo via Cal Vecchia del Col si trova il Capitello dedicato a S. Giovanni Battista detto S. Giovanni delle Cavallette, costruito per scongiurare il flagello delle cavallette che nel 1680 causarono carestia. Durante i lavori di restauro del 1993 è stato riportato alla luce un pregevole affresco “Madonna col Bambino fra S. Giovanni Battista e S. Pietro”, attribuito al pittore Marco da Mel, figlio di Antonio Rosso che la tradizione vuole sia stato il primo maestro del grande Tiziano.

A San Pietro di Barbozza nella cella vinaria di Casa Brunoro si trova la sede della Confraternita del Prosecco fondata nel 1945, presieduta dal Gran Maestro e composta da studiosi, produttori e protagonisti del mondo enologico. Una scritta latina (hac ad cellam vinariam descensus/cave ne incertus ascendas) ammonisce: chi sicuro scende questi gradini, stia attento a non barcollare salendo.

Lungo strada Barbozza si trova la Chiesetta dei S.S. Vittore e Corona di cui si hanno notizie certe dal 1488 ma che risale a periodo anteriore e sulla cui facciata restano i segni di una Deposizione attribuita a Scuola giottesca. Nel 1503 un certo Giovanni Gatto che abitava vicino alla Chiesa, poiché non arrivava lì il suono delle campane di S. Pietro, ottenne permesso dal Vescovo di appendere una campana in luogo idoneo per poter rivolgere l’Ave Maria al mattino e alla sera il saluto alla Vergine.

Proseguendo si incontra la Chiesetta di S. Antonio da Padova costruita nel 1797, anno della caduta della Repubblica Veneta, per volere della famiglia Geronazzo, detta Noni. La costruzione è stata restaurata, abbellita da vetrate dipinte e da una meridiana opera di Bepi Mionetto che rappresenta le attività contadine. Sulla sinistra, poco dopo la chiesetta di S. Antonio, c’è la Corte Geronazzo con un interessante porticato con colonne corinzie e sulla facciata dell’edificio della corte si ammira una meridiana dipinta dal pittore locale Pietro Mora nel 1775 come è testimoniato dall’iscrizione sopra la meridiana.

Prendendo la strada a destra si giunge all’Eremo di Sant’Alberto antico luogo di culto dove ancora oggi durante le Rogazioni per il buon raccolto ,si svolge il rito della benedizione dell’acqua.
La prima notizia storica dell’eremo è del 1488 quando il Vescovo Barozzi vietò che si celebrasse la S. Messa per la precarietà dell’edificio che diventò ricovero per gli animali.
Nel 1706 furono fatti restauri dall’eremita fra’ Giuseppe Pilla che preparò anche la sua lastra sepolcrale, ben visibile all’interno della chiesa. Nel 1864 furono aggiunti il Coro e il campanile a torretta con la campana che, risparmiata dalla guerra ,ancora sentiamo suonare. Vicino alla chiesa c’è la casa degli eremiti, che dopo i lavori di restauro, è meta di continui soggiorni.

L’OSTERIA SENZ’OSTE

L’osteria senz’oste è un luogo ”magico” che si trova immerso nelle splendide colline del comune di Valdobbiadene (TV); un luogo da “vivere” con intensità, dove poter ammirare un paesaggio incantevole in tutte le stagioni e in tutte le ore e dove mangiare cibi semplici, ma di ottima qualità.

L’oste, come suggerisce il nome del posto, non c’è; ogni persona che arriva in questa osteria si serve da sola scegliendo tra scaffali, mensole e frigoriferi quello che preferisce. Si paga poi alla fine, seguendo un listino prezzi e mettendo il denaro in un contenitore/musigna che funge da cassa.

TORRI DI CREDAZZO – FARRA DI SOLIGO

Lungo la strada verso Conegliano si scorgono tra Farra e Col San Martino, le Torri di Credazzo resti del Castello di Credazzo (da “credaz” – creta, forse riferito all’argilla delle colline circostanti) feudo dei Collalto sin dal X secolo ed ampliato nel XIII secolo, sicuramente riedificato sulle rovine di strutture più antiche distrutte dalle invasioni barbariche di Longobardi, Unni ed Ungari (Farra è un toponimo Longobardo). Il primo documento con il nome di Credazzo è anteriore al 1233, quando la fortezza era da tempo controllata dalla famiglia da Camino e formava il centro di un piccolo feudo che comprendeva anche il borgo di Credazzo (l’antica Villa Credacii) e la bella chiesa di San Vigilio. Quest’ultima venne edificata tra l’XI ed il XII secolo in splendida posizione panoramica e successivamente dedicata a San Vigilio. Venne ingrandita nel XV secolo ed abbellita all’interno con pregevoli affreschi,nel XVI secolo furono aggiunte l’abside e la torre campanaria.

FOLLINA

L’Abbazia Cistercense Santa Maria di Follina è uno dei monumenti più insigni di tutto il Veneto. Nel 1146 su una precedente costruzione benedettina alcuni Monaci cistercensi inviati da San Bernardo da Chiaravalle, diedero origine all’ Abbazia detta di Sanavalle (Valsana è il nome della valle) o Follina. L’attuale basilica presenta la tipica costruzione a pianta latina con la facciata rivolta a ponente e l’abside rivolta a levante proprio come prevedeva la simbologia cistercense. All’interno della basilica sono da segnalare pregevoli opere: la grande tavola lignea di stile neogotico costruita da maestranze veneziane nel 1921, copia perfetta dell’originale presente nella chiesa di S. Zaccaria di Venezia. La basilica accoglie inoltre la statua in arenaria della Madonna del Sacro Calice che qualcuno ipotizza di origina nubiana del VI sec., l’affresco “Madonna con Bambino e Santi” del 1527 di Francesco da Milano e un notevole crocefisso ligneo di età barocca.

Lo splendido chiostro, di età precedente alla basilica e perfettamente conservato, fu portato a termine nel 1268 quando i monaci cistercensi si insediarono nel monastero. Una lapide riporta in caratteri gotici la data e i nomi dei costruttori del chiostro (i monaci Arnaldo e Andrea e i magistros – capimastri Zardino e Armano) sul quale si affacciano gli ambienti più importanti dell’abbazia: la sala del capitolo, il refettorio, la biblioteca e il parlatorio. Al centro la tradizionale fontana con vasca monolitica. Le arcatelle sono sostenute da colonnine singole, binarie e, agli angoli, colonnine a fasci di quattro. I fusti sono tortili, liscati, lisci, ondulati, papiriformi o con decorazione a fiore di loto e i capitelli sono geometrici o naturalistici o simbolici. La torre campanaria di stile romanico a pianta quadrata è il manufatto più antico nel complesso architettonico dell’abbazia, si notano anche un elegante Chiostrino dell’Abate e Loggia del XVI sec. Il Monastero dopo il 1448, con la soppressione dei Cistercensi, divenne Commenda Abbaziale. Tra gli Abbati Commendatari sono alcuni personaggi illustri fra i quali: Pietro Barbo (nel 1455) che divenne poi Papa Paolo II e San Carlo Borromeo (nel 1560). Nel 1578 l’Abbazia passò ai Monaci Camaldolesi fino alla sua soppressione avvenuta nel 1771. La Basilica attuale fu costruita tra il 1308 e il 1338 e venne consacrata il 10 ottobre 1474, è dedicata all’Annunciazione di Maria.

CISON

Cison fu fondata dai Romani come accampamento militare, nel 1146 i monaci cistercensi giunti nella valle bonificarono le paludi e iniziarono la lavorazione della lana. Nel 1236 Cison appartenne ai Da Camino che misero i loro castelli, tra cui quello di Cison, sotto la protezione dell’imperatore Federico II giurando fedeltà al suo vicario Ezzelino da Romano. Nel1436 la Repubblica di Venezia donò il castello e la contea di Valmareno ai capitani di ventura Erasmo da Narni, noto come il Gattamelata, e Brandolino da Bagnacavallo il quale, tre anni dopo, acquistò per 3mila ducati la quota del Gattamelata. Nel 1797, con la caduta della Serenissima ad opera di Napoleone, i conti Brandolini persero la Valmareno.

Nel centro storico di Cison, in piazza Roma, si affacciano il palazzo Barbi, villa veneta ora sede del Comune, e la Loggia, costruita a metà Seicento come sede del tribunale che è oggi teatro. La chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta è un gioiello settecentesco dalla doppia facciata. L’interno a navata unica custodisce sulla parete centrale dietro l’altare, l’Assunzione della Vergine di Egidio Dall’Oglio (1753) e un prezioso organo di Gaetano Callido del 1779. Sono notevoli gli angeli-scultura dell’altare, i dipinti settecenteschi di un allievo del Piazzetta. All’esterno impreziosiscono la piazza gli altri palazzi veneti. Nel centro storico, le imposte delle case sono quasi tutte rosse ( «rosso Brandolini») o marrone. Suggestivo è percorrere una strada come la Calata, con il suo muro a secco e il cui tracciato ricalca un tratto dell’antica via romana Claudia Augusta Altinate.

Seguendo una diramazione della strada lungo il torrente Rujo si arriva al Bosco delle Penne Mozze che, inaugurato l’8 ottobre 1972 , si estende su un’area di oltre 16.000 mq di terreno per “ricordare con una pianta ed una stele tutti i caduti alpini nati in provincia di Treviso”. Le piante messe a dimora, i sentieri dedicati alle Medaglie d’Oro Alpine Trevigiane e oltre 2000 stele realizzate dal maestro Simon Benetton ricordano gli Alpini trevigiani caduti per la Patria. Dal 2001 il Bosco ha cominciato ad ospitare le targhe di altre sezioni alpine d’Italia così da divenire luogo della memoria degli Alpini di tutto il Paese. Costeggiando il torrente Rujo attraversando il bosco si possono raggiungere vecchi mulini e altre opere idrauliche.

CASTELLO BRANDOLINI D’ADDA

ll Castello Brandolini d’Adda, domina Cison da una posizione suggestiva. Il complesso fortificato del XII secolo è composto da vari altri complessi di diverse epoche. I Brandolini possedettero il castello per 500 anni, lo ampliarono e fecero numerosi rifacimenti. Il conte Antonio Maria Brandolini morto nel 1530, volle l’elegante facciata ornata da bifore e trifore a doppio ordine e la sistemazione del parco con fontana. Il teatro, invece, fu costruito nel 1683. Nel secolo XVIII l’architetto Ottavio Scotti costruì un enorme scalone reale, sale e saloni impreziositi da decori e predispose gli appartamenti privati, quelli per gli ospiti e la servitù, le scuderie, la limonaia, gli alloggi per la guarnigione insieme ai ricoveri per le carrozze e ai magazzini di servizio. Fu costruita la chiesetta di San Martino, sul luogo di una medioevale già esistente, ricca di stucchi e affreschi del pittore cisonese Egidio Dall’Oglio, allievo del Piazzetta. Durante la prima guerra mondiale il castello diventò ospedale militare e subì notevoli danni a causa di un incendio. Dal 1929, dopo un restauro, ritornò residenza di famiglia. Nel 1959 la proprietà passò dai Brandolini ai Padri Salesiani che ne fecero un centro di cultura e spiritualità. Oggi è Castel Brando Hotel.

S.PIETRO DI FELETTO

S.Pietro di Feletto, si trova sui colli alle spalle di Conegliano e si raggiunge facilmente percorrendo la ‘Strada del Prosecco’ partendo da Conegliano.

La Pieve di S. Pietro, di epoca longobarda, fu eretta intorno all’anno mille. Il campanile, che si alza isolato con cuspide del XVI° secolo, è in stile romanico. L’ ampio porticato esterno è decorato da affreschi tra i quali il celebre “Cristo della domenica”, l’affresco “Madonna con Bambino tra i Santi” nel quale il Gesù Bambino succhia il latte da una vescica come forse era usanza delle povere famiglie di un tempo. All’interno vi sono tre strette navate divise da arcate a tutto sesto su grossi pilastri rettangolari e in n fondo si apre un’abside semicircolare con pitture a strati sovrapposti. Le pareti della navata centrale sono interamente affrescate con opere di vari autori che vanno dal XIII al XV secolo, sulle pareti di sinistra invece affreschi del ’200 e del ’300 di ispirazione bizantina rappresentano San Pietro, la Crocifissione e le storie della natività, notevole l’imponente figura di San Cristoforo rimasta incompiuta. Nella cappella del fonte battesimale si ammirano affreschi di fine quattrocento che illustrano la vita e il martirio di San Sebastiano. Nel catino dell’abside si trova il Cristo Pantocrator (onnipotente). L’altare maggiore è barocco.

Il prezioso affresco insegna che di domenica non si lavora: chi lavora nel giorno del Signore colpisce Cristo che versa sangue dalle ferite procurategli dagli attrezzi di lavoro. Il dipinto ci mostra gli strumenti ed i tipi di lavoro del tempo.

Sopra il portone d’ingresso S. Antonio Abate, S. Giacomo, la Madonna con il Bambino ed un Vescovo.

Sulla sinistra S. Antonio Abate e la “Madonna del Latte”.

VITTORIO VENETO

Vittorio Veneto nacque il 27 settembre 1866 dall’unione dei comuni di Ceneda e Serravalle e assunse il nome di “Vittorio” in onore di Vittorio Emanuele, il primo re d’Italia. L’appellativo “Veneto”, iniziò ad essere usato soprattutto dopo la battaglia che pose fine alle ostilità tra Italia e Austria sul finire della prima guerra mondiale. La città continua ancora oggi a dimostrare una certa bipolarità.
Interessanti sono il Duomo di Serravalle, dedicato a Santa Maria Nova, che fu innalzato all’inizio del XIV secolo e poi ricostruito nel 1776. Al suo interno si trova la pala di Tiziano Vecellio raffigurante Madonna in trono con Bambino in gloria e Santi Andrea e Pietro. La Chiesa di San Giovanni Battista è del XIV secolo e al suo interno si trovano affreschi quattrocenteschi: quattro ante d’organo dipinte da Francesco Frigimelica il vecchio e il Battesimo di Cristo di Francesco da Milano. La chiesa di Santa Giustina costruita nel 1227, dipendeva dall’abbazia di Follina, ceduta poi ai Benedettini di Padova. L’edificio è monumento nazionale e fu quasi completamente rifatto a fine 1500. All’interno si trova il pregevole sepolcro dell’ultimo signore di Serravalle, Rizzardo III, prima dell’arrivo dei Veneziani. La chiesa di San Lorenzo dei Battuti del XV secolo, riconosciuta nel 2015 dal Touring come uno dei gioielli nascosti d’Italia, è incastonata tra la trecentesca scuola dei Battuti e la Torre dell’orologio. Gli interni sono interamente coperti da affreschi realizzati nel corso della prima metà circa del XV secolo da diversi artisti riferibili alla cosiddetta “pittura gotico devozionale”.
È la più antica chiesa di Vittorio Veneto e fu chiesa madre di Serravalle prima della costruzione del Duomo. Fu nominata per la prima volta nel 1224, riedificata in stile romanico, riconsacrata nel 1303 e ancora nel 1486. Ricche sono le decorazioni interne dei secoli XV e XVI a cui collaborarono gli artisti locali Antonio Zago, Iseppo da Cividale e Francesco da Milano.
Le pendici del monte Marcantone sono luogo di culto secolare e sede delle reliquie della patrona di Serravalle Santa Augusta. Piazza Marcantonio Flaminio, celebre umanista di Serravalle, è il risultato di una pregevole risistemazione del 1500 e di ulteriori rimaneggiamenti ottocenteschi. Si notano la sua forma regolare e la pavimentazione in pietra d’Istria. La piazza è circondata da palazzi di epoca rinascimentale quali il Palazzo della comunità (o Loggia di Serravalle), antica sede del governo cittadino ricostruita a metà del XV secolo e attualmente sede del Museo del Cenedese, che espone reperti di età romana e medievale.
Le vie di Serravalle sono impreziosite da numerose facciate secolari di grande rilevanza storico architettonica.

Il lato orientale di piazza Flaminio: in evidenza la Torre Civica e, a destra, il Palazzo della Comunità.

Palazzo Minucci poi De Carlo, particolare della facciata Da visitare il Museo della battaglia che con moderne tecnologie attraverso le diverse sezioni (la trincea, l’armeria, l’occupazione, dalla Battaglia al mito) permette di scoprire le testimonianze della Grande Guerra che proprio a Vittorio Veneto si concluse.

SCUOLA DI ENOLOGIA DI CONEGLIANO

Dopo oltre un secolo di presenza certa sulle colline di Conegliano-Valdobbiadene, è nella seconda metà del XIX secolo che inizia la moderna avventura di un vitigno e di un vino che si saprà imporre poi nella seconda metà del 1900.

I produttori hanno contribuito in modo determinante a questo successo con l’aiuto delle istituzioni. Va ricordata prima di tutte la Scuola di viticoltura e di enologia di Conegliano sorta nel 1876 grazie ad una intuizione di Antonio Carpenè con la collaborazione di Giovanni Battista Cerletti . La scuola ha rappresentato il motore dello sviluppo enologico della zona circostante ad essa e di tutta Italia, grazie a docenti di altissimo prestigio internazionale come Arturo Marescalchi (sottosegretario all’agricoltura al Governo), Giovanni Dalmasso (dirigente dell’Università di Agraria di Torino) e Luigi Manzoni (costitutore dei famosi incroci).

Dopo la prima Guerra Mondiale e l’avvento delle prime malattie della vite (Oidio, Fillossera, Peronospora) la viticoltura trevigiana fu gravemente compromessa. Questo spinse docenti e produttori più attenti a dar vita ad una nuova istituzione dedita alla ricerca scientifica. Nasce nel 1923 a Conegliano la “Stazione sperimentale di viticoltura ed enologia” con direttore G. Dalmasso e con la collaborazione di Italo Cosmo (successivamente costitutore di un clone di Prosecco) e Giuseppe Dall’Olio. Grazie a queste due istituzioni, dopo la seconda Guerra Mondiale, il comprensorio Conegliano-Valdobbiadene riuscirà ad esprimere al meglio le sue potenzialità.

In questo periodo alcuni fra i più avveduti vignaioli e spumantisti di Valdobbiadene si organizzarono per difendere e valorizzare la viti-enologia collinare, inoltre emerse la necessità di definire l’aspetto legislativo relativo alla viticoltura e all’enologia per migliorare la qualità e salvaguardare tipicità e caratteristiche del Prosecco. Nasce così il 7 giugno 1962 il “Consorzio per la tutela del vino Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene”. I risultati di questo impegno di tutela e promozione saranno subito evidenti, tanto che nel 1963 Valdobbiadene diviene ufficialmente capitale del Prosecco e dell’intero mondo dello spumante italiano grazie alla “Mostra Nazionale degli spumanti” che si teneva ogni anno presso la “Villa dei Cedri” a Valdobbiadene.

L’impegno dei vignaioli conquista un altro successo nel 1969 quando il Prosecco ottiene la “Denominazione di Origine” (Prosecco DOC di Conegliano e Valdobbiadene). In questi ultimi anni il Prosecco è diventato il vino bianco più richiesto in Italia e nel Mondo.

Questo suo favoloso successo, unito alla perseveranza e professionalità dei produttori ha portato il Prosecco a ricevere come ultimo e più prestigioso riconoscimento la “Denominazione di Origine Controllata e Garantita” diventando così di diritto dall’1 aprile 2010 Conegliano Valdobbiadene DOCG Prosecco Superiore. Nel 1968, con la fondazione della Società Enologica, a Conegliano inizia un’opera di ricerca e di selezione di vari tipi di Prosecco già presenti e coltivati nelle colline di Conegliano e Valdobbiadene.

CONEGLIANO

Conserva molte architetture religiose:

  • il Duomo la cui facciata è coperta dall’elegante struttura ad archi ogivali della Scuola dei Battuti e preziosi affreschi del Pozzoserrato ornano la facciata e l’interno della sala. All’interno del Duomo è possibile ammirare l’unica opera del Cima presente nella sua città natale: la pala di Conegliano del 1492, posta dietro l’altare maggiore. Degna di nota è anche la tela di Palma il Giovane posta sopra il portale che rappresenta Santa Caterina battezzata dall’eremita.
  • la Chiesa di San Martino del XVII sec: ex sede dei frati domenicani, è una delle maggiori architetture religiose.
  • la Chiesa di Sant’Orsola del XII sec: piccola chiesa che sorge accanto al Castello.
  • la Chiesa dei Santi Rocco e Domenico (XVII secolo): chiesa seicentesca posta nel cuore della città, ha un’importante facciata novecentesca.
  • il centro storico, di origine medioevale, si snoda ai piedi del Colle di Giano lungo via XX settembre, l’antica Contrada Granda e sulla sommità del colle si trova la parte superstite del castello medievale sede del Museo Civico.

CASTELLO DI SAN SALVATORE

Il Castello di San Salvatore domina il paese di Susegana e la sua storia è legata alle vicende dei suoi proprietari, la nobile famiglia dei Collalto che nel 1312 ottenne dall’imperatore Arrigo VII per sé e per la propria discendenza piena giurisdizione sulle contee di Collalto e San Salvatore. Il castello, dal tipico impianto architettonico tardo medievale, fu gravemente danneggiato tra il 1917 e il 1918 quando il territorio comunale a seguito della rotta di Caporetto si trovò nella zona di occupazione Austro-Tedesca con il fronte attestato sul fiume Piave.

PORTOBUFFOLÈ

Chiamata dai Romani Septimum de Liquentia (distante sette miglia da Oderzo e in un’ansa del fiume Livenza) deve il suo nome attuale al latino medievale bova che significa canale oppure alle bufaline, barche usate per il trasporto delle merci via fiume. Nel 1300 circa si stabilì a Portobuffolè Gaia da Camino, immortalata da Dante nel XVI canto del Purgatorio come il padre Gherardo, signore di Treviso. Gaia era sposa di Tolberto da Camino diventato signore di Portobuffolè nel 1307. Morta Gaia nel 1311, la seconda moglie di Tolberto andò a Venezia a chiedere protezione al doge Dandolo. Rientrò nel castello solo nel 1336 e nel 1339 Portobuffolè passò alla Repubblica Veneta. Nel 1797, caduta la Serenissima, anche Portobuffolè diventò dominio francese e poi nel 1815 passò con tutto il Veneto all’Austria. Il 15 luglio 1866 entrò nella cittadina il primo drappello di soldati italiani e durante la prima guerra mondiale nel 1918 Porta Trevisana fu abbattuta dalle truppe austro-ungariche durante la ritirata.

Entrati a Portobuffolè si giunge a piazza Beccaro circondata da bei palazzi: Cà Soler con un’importante facciata rivolta un tempo verso il canale ora interrato e un’altra costruzione sulla quale vi sono resti di affreschi attribuiti al Pordenone. Dalla piazza si arriva alla dimora in cui Gaia da Camino visse fino alla morte, avvenuta nel 1311. Sulla facciata si aprono bifore ornate da colonnine sottili ed eleganti con capitelli a fior di loto. Gli affreschi conservati al primo piano testimoniano un’atmosfera cortese allietata dai canti dei menestrelli. Sui muri interni di Casa Gaia sono dipinti un principino accompagnato dal servo, curvo sotto il peso di un librone, e sei giovani guerrieri rivestiti di un’armatura finemente ricamata. Si notano anche un castello, forse proprio quello di Portobuffolè, e due personaggi appena abbozzati che sono forse i padroni di casa Tolberto e Gaia. Al secondo piano sono raffigurate città fortificate, ponti levatoi, torri e palazzi e paggi in conversazione. Il castello di Portobuffolè aveva sette torri, ma ora resta solo la torre Comunale del X sec., alta 28 m. e costruita in mattoni. Sull’orologio si trovava il buco dal quale i condannati erano calati nella sottostante prigione. La casa ai piedi della torre era un tempo il palazzo del Governo e reca ancora la scritta: “fatta dalle fondamenta il 9 marzo 1187”. Sopra la porta del Monte di Pietà, fondato nel ‘500 dai Veneziani, vi è un raro esempio di “leon in moeca”, dall’aspetto terrificante che veniva rappresentato in tempo di guerra. Il Leone di San Marco domina anche in piazza Maggiore dove c’erano gli uffici pubblici e i palazzi delle famiglie più importanti. La casa Comunale ha un’ampia loggia ed eleganti finestre a sesto ovale e l’ampio salone, detto “fontego”, era usato come deposito di cereali e sale che venivano portati in varie parti del Veneto. Il Duomo consacrato nel 1559 contiene un crocefisso ligneo del ’400 di scuola tedesca e uno splendido organo della casa Callido di Venezia con 472 canne di zinco e stagno, costato nel 1780 oltre 4000 lire oro venete. Nei lavori di restauro dell’ex casa dell’Arcisinagogo, accanto al Duomo, è apparsa una pietra con il candelabro ebraico a sette braccia e alcune lettere dell’alfabeto. Dalla piazza si arriva al “Toresin” e a Porta Friuli, dove , sopra l’arco esterno, un Leone di San Marco inneggia ai “diritti e doveri dell’uomo e del cittadino”, segno del passaggio della Rivoluzione Francese. Il Ponte Friuli, costruito nel 1780 in pietra cotta, in sostituzione del ponte levatoio in legno, è a due grandi arcate e fiancheggiato da sei eleganti poggioli. Qui sotto scorreva il Livenza.

Testi a cura di prof.ssa Giuseppina Barbata